PROGETTI
Con il passare degli anni mi sono resa conto che l’ascolto e la riflessione su quanto ti viene chiesto sono molto importanti: ti permettono di crescere e di acquisire strumenti più raffinati per la gestione del progetto. Forse in questo percorso mi ha aiutato il lavoro con Architettura senza Frontiere; da un lato perché facendo parte di un’associazione il progetto non è più una questione personale ma diventa patrimonio di tutti, dall’altra perché la sensibilità di dover costruire in luoghi disagiati e problematici affina la capacità progettuale. Proprio perché sono interventi basati sul rispetto di realtà differenti.
Se si parla di un intervento di tipo museale, l’obiettivo è quello di realizzare un contenitore che sappia parlare al fruitore, in maniera semplice ma che non semplifichi i concetti. Se si parla di recupero di borgate o di aree urbane più complesse, l’obiettivo è quello di intervenire senza stravolgere il contesto. La lettura del territorio e l’accompagnamento al progetto diventano elementi fondamentali. Per quanto riguarda il restauro o la riqualificazione di residenze l’obiettivo è quello di mettere le mie competenze al servizio del cliente.
Ho sempre pensato che la capacità di un buon architetto fosse quella di riuscire a tradurre in architettura di buona qualità i desideri dei clienti, guidandoli in labirinti complessi e spesso ignoti, col sostegno di una buona capacità di ascolto. All’inizio della carriera non ero molto elastica, pensavo che una laurea in architettura mi desse il diritto di far accettare le mie idee; del resto erano fondate su capacità che il cliente non aveva (ovviamente).
Detto ciò, a parte il cliente, che ha senz’altro un ruolo importante nell’itinerario progettuale, l’obiettivo che perseguo è correlato a quanto mi viene chiesto di fare.