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CHI SONO 

Mi chiamo Valeria, e ho iniziato a pensare di fare l’architetto alle elementari. A dir la verità non so bene perché, visto che in famiglia nessuno aveva mai fatto questo mestiere. Sono sicura che a nutrire la mia inclinazione abbia contribuito non poco la sensibilità di mia madre per l’architettura moderna e per l’arredamento; così sono cresciuta immersa in una continua ricerca del bello, ed è stata una gran fortuna. All’inizio dei miei studi di architettura, però, non avevo idea di che cosa si trattasse davvero, e l’aria che avevo respirato in casa non era che un supporto ideale per una disciplina così ampia e complessa. L’università, del resto, si rivelava più un ingranaggio per produrre architetti, che non una fucina di pensiero. L’ho capito solo in seguito che pensare all’architettura è più importante che disegnarla, e che l’architettura è una strada da percorrere osservando, guardandosi attorno, facendo ricerca, impregnandosi dell’atmosfera che ti circonda, dei colori e degli odori. Come qualcosa che deve entrarti dentro, fino a far parte di te.

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BERLINO

Dopo la laurea sono partita per Berlino alla ricerca di lavoro come architetto. Volevo imparare a fare da me, iniziando un percorso senza l’aiuto di nessuno. E così è stato. Ho lavorato sul riuso, sul restauro, sull’utilizzo della luce naturale e sul taglio degli spazi. È stata una scuola impagabile, che mi è servita molto: dopo cinque anni passati a progettare costruzioni in cemento armato, condomini, alloggi da far sottostare a rigidi dimensionamenti, ho potuto modificare lo sguardo.

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TORINO

Col ritorno a Torino ho aperto il mio studio, lavorando al tempo stesso dall’architetto Andrea Bruno. È stato un periodo di molti sogni e di molti ostacoli, ma anche di tante persone che mi hanno dato fiducia. Ero giovane nella progettazione, e ripercorrendo a ritroso il cammino mi rendo conto di come fosse difficile per me all’epoca avere una visione d’insieme.

Sono poi arrivati gli incarichi dei primi musei, il che mi ha fatto fare un vero balzo in avanti. Ho iniziato a leggere e a studiare gli argomenti che mi si proponevano, ampliando per la prima volta il ragionamento. Lì ho capito quanto fosse importante il contenitore museale e quanta fantasia fosse necessaria per renderlo avvicinabile e comprensibile a tutti. È stata anche l’occasione per entrare in contatto con la pubblica amministrazione, con il cantiere e con le imprese, con la contabilità, con la direzione lavori. All’improvviso si era chiarito anche un altro fatto: che il percorso sarebbe stato tutt’altro che semplice, perché in un mondo di soli uomini, non puoi svolgere appieno il tuo ruolo di architett-a se non battagliando!

UNA SVOLTA

Nel 2006 un nuovo punto di svolta: l’inizio del lavoro alla Borgata Paraloup, nella cuneese Valle Stura. Del gruppo non conoscevo nessuno, ma l’esperienza si è rivelata fin da subito entusiasmante, e con la Fondazione Nuto Revelli – il committente – si è aperto un dialogo tra i più ricchi e costruttivi. Il progetto architettonico vede nella rovina un valore, il segno della Storia, quella partigiana e quella del popolo di montagna. E la borgata diventa un simbolo, sia della lotta contro il nazifascismo, sia per combattere lo spopolamento, un fenomeno che nei decenni del secondo dopoguerra ha cancellato esistenze, valori e tradizioni. Il progetto ha realizzato un intervento di architettura contemporanea legato alla carta del restauro, e basato sui principi della reversibilità e del minimo impatto.

Con Paraloup ha preso avvio un lungo e fecondo periodo di progettazione di montagna, che dura tuttora.

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ASF PIEMONTE

Sempre nel 2006, con la nascita a Torino della sede regionale piemontese, della quale divento presidente, inizia anche la mia esperienza in Architettura senza Frontiere. È proprio attraversando le valli, passando da un cantiere all’altro, che mi sono resa conto di quanto il territorio fosse ferito, e di quanto questa azione nefasta continuasse inarrestabile. Il paesaggio è diventato così un aspetto imprescindibile del mio lavoro progettuale – la ricerca di nuovi punti di riferimento attraverso la lettura del territorio, la commistione di antico e contemporaneo, l’inserimento di materiali legati alla tradizione ma rivisitati secondo le nuove tecnologie. Questa volontà di recuperare luoghi, aree degradate o dimenticate attraverso una lettura diversa del contesto è iniziata proprio allora. Pensando e affinando la mia capacità percettiva, insieme a una continua ricerca, ho sempre più orientato su questa linea le mie realizzazioni.

IL PROGETTO

Ho così cominciato a progettare un nuovo modo di utilizzare gli spazi, sia interni che esterni. Si sono avviati progetti di più ampia portata, come quello relativo al diverso utilizzo della Valle Stura, per la quale si propone un nuovo modo di viverla attraverso il superamento delle barriere poste dalle strade ad alta percorribilità e integrando la parte più strettamente correlata alla biodiversità, alle borgate abbandonate, alla storia, a una visione slow del turismo come della vita stessa.

Un altro progetto è quello che prevede la rinascita di San Pietro in Vincoli, a Torino, come luogo aperto alla collettività, come contenitore di cultura e nel contempo museo di sé stesso. O ancora il progetto per il Museo delle Fortificazioni di Moiola, sempre in Valle Stura, un intervento che garantisca sia l’accessibilità per le visite, sia la permanenza delle specie animali, lasciando che la natura rimanga la vera fruitrice del luogo.

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UNA DONNA ARCHITETTO

Un percorso che continua, che va di pari passo con il lavoro di Architettura senza Frontiere, improntato all’impegno civile. La progettazione architettonica si intreccia alla progettazione urbanistica e sociologica, dove la natura assume un’importanza primaria. La vita si modifica continuamente e con lei anche il nostro cammino, che non può arrestarsi ma deve mantenere ben saldi i principi che regolano i concetti guida, pur senza dimenticare che ogni luogo ha una propria anima e che la sfida è riuscire a identificarla e ad accompagnarla nella trasformazione, a seguirla con delicatezza, senza perdere le proporzioni dell’insieme. 

 

Negli anni ho anche capito, e sperimentato sul campo, che essere donna e architetto non è sempre un buon connubio. È indubbiamente difficile padroneggiare i meccanismi che regolano il nostro lavoro e far fronte ai luoghi comuni che imperano nella nostra professione. Ho imparato, non senza difficoltà, a non perdere mai di vista l’obiettivo, nella consapevolezza che la resistenza/resilienza è alla base di questo percorso. E, come ci ha insegnato la Storia, è anche lo strumento che porta alla libertà!

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Ogni libro è un giardino. Beato colui che lo sa piantare e fortunato colui che taglia le sue rose per darle in pasto alla sua anima.

Federico Garcia Lorca

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